ultima fase dell'attività mineraria

Già intorno al 1960 la ditta AMMI aveva preso in considerazione l'idea di abbandonare il villaggio minerario diS. Martino di Monteneve e di accedere al giacimento metallifero dalla parte di Ridanna. L'intenzione era quella di migliorare le condizioni di vita e di lavoro per i minatori e di evitare il dispendioso trasporto del minerale attraverso la Forcella di Monteneve.

Come primo passo nel 1962 fu iniziato lo scavo della galleria Poschhaus nella Valle di Lazzago poco sotto i 2000 m di quota, avanzando per circa 3,6 km in direzione delle "Rocce Bianche di Montenevoso" (Schneeberger Weißen). Nel 1967 si raggiunse il giacimento e così si poté da sotto - dal colmo della galleria - iniziare la coltivazione in direzione della vecchia miniera soprastante. Contemporaneamente nell'area dell'impianto di arricchimento a Masseria, venne costruito, in aggiunta alle case dei minatori già esistenti, un grande edificio di amministrazione e di abitazione, con diversi "appartamenti sociali". Inoltre fu realizzata una cabinovia che saliva da Masseria attraverso la Valle di Lazzago fino a circa 700 m dalla galleria Poschhaus, da dove partiva una galleria artificiale ("Schneekragen"), in parte completamente sotterranea, che portava fino all'imbocco della galleria Poschhaus.

Con la realizzazione di queste strutture non esistevano più ostacoli per il trasferimento della comunità mineraria daS. Martino di Ridanna. Il previsto trasferimento fu accelerato dall'incendio scoppiato nella grande casa dei lavoratori a S. Martino il 16 giugno 1967.

Il villaggio minerario, secolare ed unico, a 2.354 m di quota, fu poi abbandonato. I minatori rimasti abitavano dal 1967 alla testata della Val Ridanna e si recavano al lavoro in miniera con la cabinovia.

Anche la via di trasporto del minerale venne fondamentalmente semplificata, non si arrampicava più su per la montanga ma, attraverso la galleria Poschhaus, arrivava direttamente ad un nuovo grande impianto di frantumazione con un grande silo. La teleferica che scavalcava la montagna aveva fatto il suo dovere, presso il silo del minerale fu costruita la nuova stazione a monte, dalla quale il minerale veniva trasportato con la teleferica fino a Masseria.

Nonostante gli enormi investimenti e le innovazioni non fu possibile fermare la progressiva decadenza dell'industria mineraria. Gli alti costi di produzione in montagna impedivano di reggere la concorrenza sul mercato mondiale, dove si verificavano continui ribassi dei prezzi del piombo e dello zinco.

Dopo anni di incertezza, caratterizzati da molte trattative tra la direzione della ditta, sindacati e uffici pubblici, nel dicembre 1979 si giunse alla cessazione della coltivazione del minerale. La maggior parte dei lavoratori fu messa in cassa integrazione. Un programma di prospezioni partito l'anno seguente avrebbe dovuto aprire più in profondità dei giacimenti redditizi, e assicurare ai circa 45 minatori rimasti posti di lavoro per i prossimi anni. Anche se i risultati delle trivellazioni esplorative apparvero soddisfacenti, l'ultima ditta, la SAMIN, decise di chiudere la miniera il 5 maggio 1985. I minatori, tranne 5, furono licenziati. Questi ultimi nell'anno successivo si riunirono in un consorzio ed eseguirono fino al 1989 lavori di sgombero e di sicurezza nelle aree delle gallerie Poschhaus e Karl.

A causa della lenta fine dell'attività mineraria a Monteneve la maestranza si ridusse dagli anni sessanta progressivamente da 350 a 42 lavoratori. Per questo motivo la cessazione definitiva non portò grandissimi problemi sul mercato del lavoro.