Monteneve passa all'Italia

Dopo la sconfitta austriaca nella prima guerra mondiale ed il trattato di pace di Saint Germain presso Parigi non è per niente strano il fatto che il 21 agosto 1919 i primi soldati italiani del 5° reggimento Alpini, 160. compagnia, con la specificazione "per servizio", si siano registrati nel libro degli ospiti di Monteneve, già allora in quattro lingue. Già sotto l'Austria esisteva una numerosa colonia di italiani a Monteneve, ma ora tutta la miniera era di proprietà dello Stato italiano e questo era qualcosa di particolare. Lo stato plurinazionale austriaco non esisteva più. I diritti dell'Ufficio minerario di Chiusa passarono all'Ufficio minerario di Trento. Lo Stato come proprietario affittò la miniera a delle società, che si dettero frequentemente il cambio.

Durante il fascismo, con l'obiettivo dichiarato di italianizzare il Tirolo Meridionale, furono licenzati tutti gli impiegati di lingua tedesca e sostituiti da italiani. Nei periodi di alta disoccupazione anche i lavoratori locali si ridussero ad una bassa percentuale dell'intera maestranza. Appartenenza al partito unitario fascista e italianizzazione dei nomi e dei cognomi erano le condizioni necessarie per l'assunzione. Gli svantaggi derivanti dall'acceso nazionalismo italiano erano all'ordine del giorno.

Con il distacco dell'Alto Adige dall'Austria, a Monteneve si verificò uno strappo doloroso nella sua storia. Ad ogni minatore e ad ogni famiglia di minatori che se ne andavano, che a volte erano stati in relazione con la miniera per generazioni e che si sentivano appartenenti a Monteneve, spariva a poco a poco anche il vecchio Monteneve, quello che nei racconti carichi di nostalgia viene descritto quasi come "il buon tempo andato". La vecchia articolazione gerarchica della maestranza, uniforme, lingua, festività, usanze, musica, privilegi, tradizioni, nomi delle gallerie e del territorio, come anche i molti collegamenti con le valli confinanti e la parte nord del Tirolo, scomparvero o vennero interrotti dal vicino confine di stato.

Siccome anche le autorità minerarie austriache non erano disposte da parte loro a collaborare con i loro successori italiani, una buona parte del tesoro di conoscenze scientifiche raccolto per secoli nei giacimenti non era più accessibile e dovette essere faticosamente elaborato di nuovo.

Il nuovo Monteneve italiano divenne una miniera senza più minatori nel senso tradizionale del termine. I lavoratori italiani erano attratti dagli ambiti posti di lavoro, senza sapere che cosa li aspettasse in realtà. Per la maggior parte mal sopportavano le condizioni di vita in montagna e sotto terra, come attesta una loro permanenza media di circa mezz'anno. La spina dorsale portante della maestranza rimasero, nonostante l'inferiorità numerica, i minatori rimasti di Ridanna e della Passiria, cosa che con il tempo venne riconosciuta anche dalla direzione aziendale.

"Anche mio marito (Vinzenz Heel) è stato per lungo tempo a Monteneve. Raccontava sempre che lassù c'era uno di questi italiani che bestemmiava di santa ragione in modo blasfemo, perché non gli andava bene niente e perché da troppo tempo non riusciva più ad andare a casa. Si buttava sulla schiena, si rotolava per terra e sputava verso il cielo, verso Dio, e bestemmiava a più non posso per la maggior parte del tempo. Infine prima di Natale ottenne finalmente le ferie, e scese verso valle subito dopo il turno, di notte, benché ci fosse bufera e nevicasse. Gli altri gli avevano pur detto di aspettare il giorno dopo e di scendere con loro, ma egli non li volle ascoltare. Non si è più saputo nulla di lui – e non è più tornato. Su pensavano che non avesse più voluto tornare e giù pensavano che non avesse preso le ferie. In primavera poi, quando si sciolse la neve, lo trovarono a Seemoos, vicino al sentiero, disteso sulla schiena, nella posizione nella quale aveva sempre bestemmiato. Da allora si è sempre sentito picchiare a Seemoos, come se qualcuno stesse lavorando, ma non c'era nessuno. Anche mio marito lo sentì e seguì la direzione da cui provenivano i colpi, ma poi questi colpi si fecero udire in un altro posto. Allora tutti compresero che si trattava dell'italiano che doveva far penitenza." (Antonia Heel, S. Leonardo)