malattia e morte
Le relazioni di incidenti, malattie e morte corrono come un filo rosso attraverso la storia di Monteneve. Fin dagli inizi dell’attività mineraria la tradizione riferisce di misteriosi casi di morte. Minatori che si trattenevano a Monteneve a lungo morivano prematuramente. Per molto tempo si ritenne che la causa fosse l'aria sottile di quelle quote, finché non si scoprì finalmente che era l'acqua potabile carica di metalli pesanti a causare intossicazione da piombo, acqua che da quel momento venne evitata. Ancora nel 1940 il sorvegliante Hans Wallnöfer raccontava che, nel suo primo periodo a Monteneve, non sopportava l'acqua ed era soggetto a forti coliche.
Rimaneva pur sempre in ogni tempo mortale, come malattia tipica di Monteneve, la silicosi, chiamata un tempo "tisi dei minatori". L'inspirazione della polvere finissima nelle gallerie e nell'impianto di arricchimento portava con il tempo ad un processo di atrofizzazione dei polmoni. Tosse, asma, disturbi al cuore e sincope cardiaca erano gli stadi di questa perfida malattia che, in casi estremi, trasformava nel giro di due anni i ragazzi sani che entravano in galleria in moribondi semisoffocati. Particolarmente grave diventò la situazione dal 1923, quando si iniziò a perforare la roccia con martelli pneumatici a secco. Appena dopo il 1950 vennero distribuite dalla direzione le prime maschere contro la polvere, che tuttavia spesso i minatori non usavano, sottovalutando il pericolo, poiché esse impedivano la libera respirazione e dovevano essere pulite ad intervalli regolari. Un certo sollievo portarono nel 1961 i primi perforatori pneumatici con spruzzo d'acqua integrato, che eliminava la polvere più aggressiva.
Altre malattie pericolose, di cui riferisce la cronaca di Monteneve, erano il vaiolo, la tubercolosi, varie elmintiasi, reumatismi e alcolismo. I lavoratori colpiti da gravi malattie venivano in genere trasportati a valle o tirati su slitte. L'ospedale più vicino era a Vipiteno. Intorno al 1900 venne costruito a Monteneve in riva al torrente "l'ospedale". I muri rimasti dovrebbero essere risanati nel 2000. In due grandi locali potevano essere curati al massimo dieci ammalati. Poco incoraggiante era la camera mortuaria addossata sul lato ovest, con entrata separata, nella quale d'inverno i morti congelati dovevano aspettare spesso dei giorni per essere trasportati.
Negli ultimi decenni prima della cessazione dell'attività il reparto sanitario era alloggiato nel tratto tra la casa degli impiegati e l'osteria. Così racconta il funerale di un minatore il già citato sorvegliante Wallnöfer: "Il giorno del funerale, quando i minatori si riunivano prima di entrare in galleria per il primo turno, veniva chiamato anche il nome del morto. Allora tutta la squadra rispondeva invece che con il "presente" con un sonoro "Glück auf". Poi seguiva un minuto di silenzio. I minatori che non erano di servizio accompagnavano in costume e con la loro bandiera il compagno defunto all'estrema dimora. Il caposorvegliante seguiva la bara fino alla tomba con la zappetta da minatore decorata abbassata. Dopo la benedizione egli sollevava la zappetta e diceva: "Secondo antica usanza e antico costume minerario, a te, compagno, per la tua ultima discesa nel pozzo, un triplice affettuoso Glück auf!". Poi comandava "Squadra avanti". Con il triplice "Glück auf" dei compagni la bara veniva calata nella fossa, veniva abbassata la bandiera, esplodevano tre spari e la banda dei minatori suonava il saluto della bandiera."